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vicendeitaliane

Il libro è ambizioso, svelare uno dei misteri d’Italia, tant’è che a fine lettura il titolo sembra leggermente fuorviante o eccessivo, forse l’intestazione più appropriata sarebbe stata “Le toghe e la P2, odio e amore”. Il testo scritto da tre autori (una giornalista, un avvocato ed un magistrato in pensione) è diviso in due parti, risultano estremamente curate le note e la documentazione di riferimento e la narrazione è costruita come un libro giallo dove gli autori tirano fuori personaggi e colpi di scena e dove il racconto si sviluppa come l’indagine di un investigatore. Rimane a volte difficile da seguire per i numerosi intrecci. La logica del libro è quella della giurisprudenza, ovvero dove la colpevolezza deve essere provata senza ombra di dubbio e la certezza della colpa è data da una condanna definitiva. Tuttavia, trovandosi gli autori in disaccordo o comunque ritenendo insufficienti i risultati dei processi, la storia raccontata non è assoluta e definitiva. Non potendo infatti gli ideatori dell'inchiesta scrivere una verità emersa da atti processuali ricorrono a citazioni, indagini, episodi di cronaca per indirizzare il lettore verso quello che loro ritengono essere verosimile e credibile, spesso rincorrono gli esecutori di alcuni crimini per capire il movente.

L’inchiesta giornalistica inizia con una auto bomba nella tranquilla e ridente Valle d’Aosta nel dicembre del 1982 ai danni del magistrato Giovanni Selis. Quindi affronta i misteri dietro l’omicidio del giudice Vittorio Occorsio, assassinato da Pierluigi Concutelli il 10 luglio del 1976. Secondo la magistratura una vendetta di Ordine Nuovo dopo che un’inchiesta diretta da Occorsio aveva messo a processo e condannati in primo grado trenta militanti per il reato di ricostruzione del partito fascista, condanna che mette fuori legge Ordine Nuovo. E se invece fosse stato ucciso perché stava indagando su un giro di soldi che portavano a uomini della P2? Di certo Occorsio aveva dei fascicoli su un losco giro di soldi legati alla P2 come testimonia il giudice Ferdinando Imposimato, altra cosa certa sono i rapporti del suo killer con organizzazioni criminali mafiose (da diretto interessato sempre smentiti), rapporti diretti con la massoneria e uomini legati alla P2, il suo coinvolgimento in un sequestro di persona e in molti episodi di eversione nera. L’utilizzo dei sequestri di persona per finanziare l’eversione nera capita in un periodo, gli anni ‘70, dove i sequestri sono all’ordine del giorno in tutta Italia da Nord a Sud. Molti e spesso efferati sequestri di ricchi cittadini avvengono a Roma per mano di numerosi criminali, prima i marsigliesi, noti con il nome della banda delle 3B, dalle iniziali dei loro tre capi (Bergamelli, Berenguer e Bellicini), poi con la banda della Magliana che risulterà essere legata all’eversione nera, eclatante il sequestro dell’imprenditore Bulgari. A Milano viene sequestrato l’imprenditore Agrati, vengono indagati due suoi amici ma le prove spariscono e i testimoni vengono intimoriti persino dai servizi segreti. In provincia di Como viene rapita Cristina Mazzotti figlia di un commerciante di cereali, ma il suo sequestro finisce con il suo omicidio. Ciò che accomuna tutti i sequestri di quegli anni è l’esigenza di riciclare il denaro. L’avvocato Gian Antonio Minghelli di uno dei criminali della banda delle 3B, ovvero di Bergamelli, risulta coinvolto nella massoneria e nei sequestri di persona. 

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Gian Antonio Minghelli è figlio del generale Osvaldo che è uno dei rifondatori della sciolta P2 nel 1976 insieme a Licio Gelli. Il giovane Gian Antonio Minghelli viene arrestato con le accuse di associazione per delinquere e concorso in sequestro di persona, a dirigere le indagine è il giudice Occorsio coadiuvato da Imposimato. Occorsio interrogò sei volte l’avvocato Minghelli. Occorsio individua anche contatti tra il togato Minghelli e l’altro boss dei marsigliesi Bellicini ed è per questo che pensa a coinvolgimenti più ampi per la banda dei criminali di Roma e fa pedinare Licio Gelli. Ma Occorsio individua anche un legame tra i sequestratori e Odine Nuovo tanto che all’indomani della sua morte il pubblico ministero Giancarlo Armati ipotizza una piramide alla cui base ci sia la manovalanza dei neo fascisti di Ordine Nuovo, poco sopra Bergamelli e la sua banda quindi il gradino superiore gestito da un gruppo massonico il quale risponderebbe a qualcuno di più in alto difficile da individuare. Nel 1976 l’ingegner Siniscalchi prova con uno schema ad individuare i piani più alti della piramide, come il Vaticano, lo Ior e Sindona, la Nato, i Servizi Segreti deviati e quindi la cima della piramide, ovvero la Cia.

Tornando al denaro arriviamo in Costa Azzurra dove la P2 è legata all’acquisto di un Casinò e dove tra scalate al potere e rese di conti avvengono numerosi omicidi tra criminali, la così detta “guerra dei casinò”, e dove quattro milioni di dollari provenienti dal Banco Ambrosiano tramite la P2 potrebbero essere serviti ad acquisire le azioni del Ruhl, ma anche altri casinò verrebbero acquisiti allo stesso modo come il Palais de Mediterranée, invischiati in questi affari compaiono oltre agli uomini della malavita membri di Ordine Nuovo. Già dal finire degli anni ‘70 poliziotti e magistrati intuiscono correlazioni tra la mafia, la ‘ndrangheta e la P2, ma testimoni importanti vengono a mancare come Luigi Ilardo, uomo di cosa nostra disposto a collaborare, ucciso nel 1996 quattro giorni prima di essere messo sotto protezione e a conoscenza dei rapporti tra la massoneria e il mafioso Gianni Chisena, che risulta legato ai Servizi Segreti. Anche nella magistratura non tutte le toghe sono limpide, chiacchierata è la figura del giudice Luigi Moschella di cui, un altro magistrato, Bruno Caccia, non ne aveva grande stima per le frequentazioni che teneva. È certo che Moschella avesse rapporti con Chisena e che in agenda avesse il numero di Ilardo, tutte figure che ruotavano intorno la città di Torino dove tra influenti membri piduisti emerge il notaio Francesco Ioli. Su un’importante indagine che coinvolgeva in uno scandalo finanziario di evasione delle ditte proprietarie di petrolio compaiono come “inquinatori” sia il giudice Moschella che il notaio Ioli. Oltre a questi la magistratura individua come coinvolti anche uomini dei servizi segreti affiliati alla P2. Il mafioso Chisena, anche lui coinvolto in qualche maniera, viene comunque assassinato in carcere nel 1982. L’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini si oppone a chi gli chiede di fermare le indagini sui petroli che individuavano connivenze tra politici e uomini d’affari e l’ombra pesante della P2.

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Altro uomo invischiato nel riciclaggio di denaro proveniente dai sequestri di persona è il broker milanese Gianfranco Ginocchi, uomo della Milano da bere e legato sentimentalmente per un periodo alla stilista Rosanna Armani, ucciso da mano ignota nel 1978, secondo alcuni pentiti ripuliva denaro per il boss Bontade ma dopo essere stato arrestato per il fallimento della Royal nel 1977 e aver perso una cospicua somma di denaro ad un Casinò viene ucciso. Nel 1978 anche un altro frequentatore di Casinò Attilio Dutto (un giocatore assiduo) viene fatto saltare in aria con la sua auto a Cuneo quindici minuti prima dell’arrivo del suo socio in affari il giovane Flavio Briatore. Con la sua morte sparirono 30 miliardi di lire appartenenti a Dutto e secondo il giornalista Emilio Fede qualcuno gli avrebbe detto che Briatore avesse preso un ingente somma di denaro appartenuta al socio Dutto dopo la sua morte. Emilio Fede conosce Briatore essendo coimputato con lui in un processo per truffa in bische clandestine a Bari, Briatore è stato condannato in via definitiva per tale reato.

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Il libro quindi torna sul magistrato Selis che nel 1979 inizia ad indagare sui tavoli verdi della Valle d’Aosta. Selis inizia mettendo sotto indagine due cambisti querelati da dei giocatori: Nardi e Minghelli. Arrivò a concludere che i casinò erano un centro propulsore di potenti criminali. Iniziarono per Selis minacce di morte a cui presto seguì un’attentato dinamitardo alla sua auto nel quale si salvò la vita, successivamente altri atti intimidatori arrivarono nei suoi confronti. Durante le indagine sull’autobomba poi finite in un nulla di fatto viene fuori che uno dei proprietari del casinò sul quale stava indagando Selis fosse Licio Gelli. Comunque Giovanni Selis non viene ucciso ma trasferito da Cuneo a Roma, sotto scorta. A Roma il magistrato non sta bene e cade in depressione che lo porterà anche ad un ricovero ospedaliero, Selis si impiccherà in casa nel maggio del 1986.

Il 26 giugno 1986 il cuneese Bruno Caccia, procuratore di Torino, viene assassinato sotto casa mentre porta a passeggio il cane. Subito telefonate di mitomani o di depistaggio cercano di indirizzare le indagini verso le Br, pista alquanto credibile dato che Caccia era stato procuratore contro di loro al processo di Torino, ma non essendoci una rivendicazione ufficiale da nessuno dei brigatisti presto la pista rossa viene abbandonata. Caccia era un magistrato figlio di magistrato e spesso in contrasto con altri magistrati poi risultati corrotti o discutibili come Giuseppe Marabotto o Luigi Moschella. Ad interessarsi alle indagini sull'omicidio Caccia è anche il Sisde con Pietro Ferretti coadiuvato dal responsabile del centro clinico del carcere di Torino Remo Urani, i due si avvalerono di un infiltrato, un mafioso catanese detenuto, Francesco Miano, il quale si rese disponibile a registrare gli altri detenuti in carcere. Miano era stato utilizzato per arrestare il terrorista rosso Sergio Segio e il suo clan aveva attentato alla vita di Moretti e Fenzi con un suo affiliato. Francesco Miano registrò colloqui con il boss calabrese Giuseppe Belfiore ad altri membri del suo clan, registrazioni che risultarno incriminanti. Grazie alla sua testimonianza, a quella di un pentito del clan Miano Carmelo Giuffrida e dei pentiti Vanaria e Gamberale, quattro membri della mala calabrese (Belfiore, Barresi, Ursini, Gonnella) vennero condannati come mandanti dell'omicidio del procuratore Caccia, gli esecutori non furono individuati.

Tra i rapporti Miano e il medico Urini sono nati sospetti che legano i due a fatti d’indulgenza portati avanti dalla magistratura data la loro introduzione ai servizi segreti, gli autori parlano di una cospirazione e citando Caselli, magistrato milanese, dicono che la magistratura ha rimosso il senso di colpa analizzando il delitto Caccia. Ma la morte di Caccia e il mistero del suo movente aprono un vaso di Pandora di sospetti e dubbi. Gli autori per i quali il movente potrebbe essere l’inchiesta che Caccia stava svolgendo tra i legami dei Casinò, la P2 e la malavita ritengono che tali intrecci siano stati sottostimati e lasciati senza giustizia da una magistratura legata oltre che a uomini d’onore a banche e politica. I sospetti su tale cospirazione si prolungano negli anni e vengono fuori i nomi di politici, mafiosi, banchieri, magistrati, giornalisti, imprenditori come Berlusconi, Mangano, Dell’Utri, Alfano, Fede, Briatore, Sindona, Moschella, Valsina e altri. I processi finiscono in nulla di fatto il filo si aggroviglia e la matassa è impossibile da districare anche per un osservatore attento, la cospirazione dunque è riuscita.

Nella seconda parte del libro l’avvocato Fabio Repeci, difensore della moglie di Caccia, racconta di come abbia provato, in ogni modo legale, a scavare a fondo e cercare la verità per ottenere giustizia per i suoi clienti. Quanto meno sottolinea l’autore che questo tentativo di scavare nel passato sortisca l’effetto di creare conforto: un conforto nella storia. L’indagine e la caparbietà dell’avvocato portarono alla condanna di un altro mafioso coinvolto nella morte di Caccia, Rocco Schirippa. Tuttavia emergono depistaggi e coinvolgimenti di personaggi, persino magistrati, che avrebbero beneficiato della morte di Caccia. Tra le figure misteriose coinvolte nel depistaggio su questo delitto compaiono oltre che uomini dei servizi segreti italiani anche membri della Cia. Di certo c'è che i due killer di Caccia non siano stati condannati né il movente individuato.

Quello che emerge ed è indubbio ed è bene che rimanga a futura memoria è che la P2 aveva un forte movente per la morte di Caccia, come lo avesse per l’attentato a Selis e il suo successivo trasferimento a Roma e come avesse un fortissimo movente per l’omicidio del giudice Occorsio.

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