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La verità non è stata accertata. Chi abbia ucciso a Milano il 18 marzo del 1978, a due giorni dal sequestro di Aldo Moro e il massacro di via Fani, Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci per la magistratura è ancora un mistero. Poco dopo il rintocco delle campane delle ore 20 i due ragazzi vengono uccisi con otto colpi di pistola in una strada vicino le loro abitazioni. Testimoni parlano di tre o forse cinque killer, tre vicini ai due ragazzi uccisi e due di copertura in una piazza vicino. L’autopsia ci dice che a sparare è stata la stessa pistola una calibro 7.65 di produzione Winchester, entrambi i ragazzi uccisi non avevano assunto droghe o alcool. Due dei killer indossavano un impermeabile chiaro e chi sparò aveva un sacchetto di plastica intorno alla pistola per non disperdere i proiettili. I due ragazzi uccisi frequentavano il Leoncavallo, erano simpatizzanti di sinistra ma non erano iscritti ad alcuna organizzazione. Da una motocicletta in transito in prossimità della zona dell’agguato cade un oggetto metallico, una pistola beretta mentre le sirene della polizia si avvicinano. La moto risulterà intestata ad estremisti di destra.
Importante è il contesto storico, oltre al citato sequestro Moro, siamo alla fine del “movimento del ‘77” dove migliaia di giovani critici con i valori dominanti sono delusi per i risultati di democrazia proletaria, un cartello elettorale della sinistra extraparlamentare, che alle elezioni del 1976 ottiene l’1,5% dei consensi mentre il Pci aveva ottenuto il 34,7%. All’interno dello Stato ci sono uomini della P2. La destra estrema è presente con attentati dinamitardi, pestaggi e omicidi. Nelle piazze gli scontri con la polizia portano a morti, spesso vengono utilizzate sia dalle forze dell’ordine che dai neofascisti aiutati dai servizi segreti tecniche di depistaggio per accusare le organizzazioni di sinistra. In Italia la mafia, sempre aiutata dai servizi segreti italiani e dalla Cia, introduce nel mercato gli oppiacei e l’eroina per fiaccare le pulsioni rivoluzionarie e antagoniste depotenziando l’impegno politico dei movimenti giovanili.
Le indagini da principio hanno ipotizzato un movente legato alla droga, ma essendo i due giovani puliti tale pista è durata poco, quindi si è dato credito a delle rivendicazioni fasciste che si accusavano dell’omicidio, alcune indagini sono state fatte su dei picchiatori fascisti della zona del Leoncavallo ed in particolare su un impermeabile bianco (simile a quello indossato dai killer visto dai testimoni) ritrovato appeso nel bar dove si radunavano. Tuttavia la svolta avviene quando la polizia durante la perquisizione di due giovani neofascisti trovano a casa di Mario Corsi delle foto di Fausto e Iaio e dei loro funerali. Corsi era stato appena denunciato da due giovani di sinistra per una violenta aggressione di stampo politico avvenuta a Roma. Corsi nei giorni dell’omicidio di Fausto e Iaio era a Cremona, ritenuta una possibile via di fuga dei killer. Il suo contatto lì era il responsabile del Fuan Guido Zappavigna. Dalle indagini risulta che Corsi avesse rapporti con il missino Mario Spotti e che questi fosse legato ai Nar, in particolare a Franco Anselmi. Una delle rivendicazioni della morte di Fausto e Iaio avviene da un sedicente gruppo “Brigata Combattente Franco Anselmi”. Anche Spotti era a Cremona il 18 marzo 1976 facendo lì il servizio militare, le indagini non hanno accertato se stesse in caserma o avesse la libera uscita. Spotti risulta essere impreciso e reticente durante gli interrogatori dei magistrati e ha ammesso di essere stato intimidito da dei camerati dei Nar, morirà suicida senza apparente motivo nel 1995. Molti pentiti del gruppo dei Nar, come Sordi, Cristiano Fioravanti e Izzo hanno dichiarato che a compiere l’omicidio era stato qualcuno del loro gruppo, tra i sospettati Mario Corsi, Massimo Carminati e Claudio Bracci ma la magistratura nel dicembre del 2000 disponeva l’archiviazione dell’indagine. Mario Corsi divenuto poi capo ultras della Roma lavora al momento come commentatore radiofonico sportivo.
Altra morte sospetta si aggiunge all’omicidio dei due ragazzi: il 25 novembre del 1978 il giornalista dell’Unità Mauro Brutto viene falciato da un’auto che sfrecciava a folle velocità. Brutto con le sue inchieste giornalistiche aveva contribuito all’arresto di criminali legati allo spaccio di droga come Luciano Liggio uno dei boss di Cosa Nostra, per questo fu più volte minacciato di morte. Fu lui a rinvenire vicino al corpo di Iaio un proiettile schiacciato e consegnarlo alla polizia. Brutto indagava ma non solo lui, altri compagni di Democrazia Proletaria e della sinistra extra parlamentare avevano costituito un gruppo di lavoro, da questo gruppo nasce un articolo nel 1979 che pone come movente per l’omicidio di Fausto e Iaio da prima quello politico, una ritorsione per l’ennesimo scontro tra fascisti e comunisti, quindi quello legato alla mafia, spesso contigua agli ambienti neofascisti. Trafficanti di droga che si sentivano danneggiati dalle battaglie contro gli stupefacenti dei gruppi di sinistra alle quali anche Fausto e Iaio partecipavano, in particolare anche i due ragazzi si occupavano della stesura del libro bianco sullo spaccio.
Sui Nar il libro dedica un interessante capitolo riassuntivo ed esplicativo di questa organizzazione terroristica di stampo neofascista e nella quale Mario Corsi militava, un’organizzazione che ha ucciso almeno tre ragazzi a caso orbitanti nell’area di sinistra e che non si faceva problemi a picchiare e uccidere i comunisti. Un gruppo legato alla malavita e che per loro compiva omicidi su commissione in cambio di armi e riciclaggio di denaro.
Le indagini vengono archiviate nel dicembre del 2000 e neanche l’arresto poco dopo di Pasquale Belsito riesce a riportare la luce sul duplice omicidio. Belsito, uomo dei Nar, chiamato il macellaio, sicuramente sa molte cose sia su Fausto e Iaio sia sulla strage di Bologna ma si chiude in un profondo silenzio.
L’intento del libro rimane dunque il ricordo di due giovani diciottenni assassinati per un movente politico, questo testo ci sottolinea l’incompetenza e l’incapacità della polizia italiana a fare giustizia quando a morire sono giovani per ragioni politiche, soprattutto se questi giovani sono poveri e figli di proletari.